In prima linea

L’importanza “dell’autocura” e dei trattamenti olistici in oncologia

La medicina alternativa non può curare il cancro

Nonostante gli importanti passi avanti compiuti dalla medicina negli ultimi anni con trattamenti sempre più personalizzati, spesso i pazienti oncologici vanno incontro a gravosi effetti collaterali, sia a livello fisico che psicologico. La medicina oncologica complementare e integrativa può, oggigiorno, portare ad un significativo miglioramento della qualità di vita dei pazienti e, per questo scopo, possono essere molto efficaci gli approcci olistici e i trattamenti di autocura.

L’approccio olistico sulla globalità della persona

Le cure specifiche tradizionali, per quanto indispensabili, risultano molte volte insufficienti a garantire da sole un miglioramento assoluto delle condizioni di salute e della qualità di vita del paziente oncologico. È per questo che appare sempre più importante un approccio olistico, cioè globale, alla persona malata, tanto che un numero sempre maggiore di pazienti oncologici fa ricorso a terapie complementari e integrate come la fitoterapia, l’agopuntura, l’omeopatia, l’auricoloterapia, l’aromaterapia, la musicoterapia, la micoterapia e la riflessologia plantare, chi per l’attenuazione dei sintomi, chi per la riduzione degli effetti collaterali alle terapie antitumorali quali nausea, vomito e dolore in generale.  Sono numerose, infatti, le evidenze che, nel tempo, hanno messo in luce quanto il coinvolgimento attivo e autonomo del paziente sia in grado di perseguire 3 obiettivi fondamentali: una sua maggiore aderenza alle terapie, un minor numero di complicanze e un netto miglioramento della qualità della propria vita.

In letteratura sono state esaminate diverse strategie mirate a controllare i sintomi oncologici, tra cui l’esercizio fisico, le tecniche psicologiche come la terapia cognitivo-comportamentale, la mindfullness (o meditazione consapevole) e le terapie nutrizionali.

Queste evidenze sottolineano, parimenti, la necessità di un maggiore dialogo e scambio di informazioni tra le figure dell’oncologo e del medico di medicina integrata, il quale dovrebbe sempre più e sempre meglio seguire il malato nel suo percorso di cura personalizzato. In merito all’importanza dell’esercizio fisico, per esempio, è stato riscontrato come quasi l’80% dei pazienti si lamenti di non aver ricevuto adeguate informazioni circa la sua importanza, né durante né dopo il trattamento farmacologico convenzionale.

Una revisione sistematica di studi sul tema (Mishra Sl. et al, 2012) ha evidenziato che anche in casi specifici come per esempio il cancro al seno, una regolare attività fisica può invece avere effetti molto benefici sulla propria immagine corporea e quindi sull’autostima del paziente, sul suo benessere emotivo, sul contrasto ai disturbi del sonno, sulla limitazione dei fenomeni d’ansia nonché sulla diminuita percezione del dolore in alcune fasi del follow-up.

Porre la giusta attenzione su questi aspetti è essenziale perché, viceversa, scarsi valori della qualità della vita possono potenzialmente incidere molto negativamente sulla sua stessa durata e sul prosieguo del percorso terapeutico.

 

L’autocura

All’interno di questo paradigma, che ruota intorno ad un maggiore coinvolgimento del paziente, si inserisce l’autocura, intesa come consapevolezza e partecipazione attiva, la quale si traduce in un diverso modello assistenziale in cui il livello di dipendenza del malato dai sanitari risulti sempre minore, a fronte di una propria crescente autonomia decisionale e curativa. Si segnala un caso pratico di autocura nel linfedema, oggetto della relazione presentata dalla d.ssa Maria Bernadetta Ligabue, direttore del Dipartimento di  Riabilitazione Motoria dell’Ospedale di Correggio – IRCCS Reggio Emilia – in occasione del X Congresso Internazionale di oncologia integrata ARTOI, tenutosi recentemente a Roma.

Il linfedema è una patologia che si manifesta con l’accumulo di liquidi a livello interstiziale, spesso a seguito dell’asportazione di stazioni linfonodali. Un trattamento chirurgico, questo, che viene eseguito per numerose patologie oncologiche al seno, spesso aggravato dall’eventuale successivo trattamento radiante. Il linfedema insorge, dopo questi interventi, in media nel 20% dei casi. Caratteristica cruciale di questa patologia è rappresentata dalla sua tendenza evolutiva, che porta a cronicizzarsi anche a causa del progressivo aumento di consistenza del tessuto per via della fibrosi  che rischia di generare complicanze patologiche importanti. Tra queste vi sono infezioni, ridotte funzioni articolari, una limitazione funzionale e quindi una riduzione della qualità di vita del soggetto coinvolto. Si tratta dunque di una malattia che può colpire la persona a tutto tondo. Il trattamento del linfedema in autocura si basa su trattamenti decongestionanti combinati tra loro come il linfodrenaggio, la presso-terapia e il bendaggio. Sovente, tuttavia, i trattamenti vengono portati avanti solo durante la fase acuta, non enfatizzando appropriatamente da parte del medico curante l’importanza del loro mantenimento anche nelle fasi successive. Uno studio osservazionale circa la modalità di adesione ai trattamenti di autocura da parte delle pazienti affette da linfedema secondario ha evidenziato, infatti, che solo  il 30% del campione statistico ha fatto ricorso all’esercizio completo delle 3 terapie,  il 22% è ricorso al solo automassaggio, il 6% al bendaggio, il 4% alla postura e il 38% a nessuna attività. È stato inoltre evidenziato, in merito all’esercizio fisico, che appare preferibile e più efficace un’alta frequenza di esercizio su base settimanale piuttosto che una prolungata attività su base quotidiana – ha evidenziato la d.ssa Ligabue – . Nel linfedema il protocollo di trattamento di autocura prevede quindi necessariamente auto-bendaggio, auto-linfodrenaggio e kinesiterapia. La riduzione dei volumi nelle pazienti che si sono attenute al trattamento completo è stata dell’8%, quindi un risultato decisamente positivo. Insegnare questa tipologia di autocura nelle donne con linfedema può essere quindi molto importante per mantenere in autonomia e accrescere i risultati raggiunti con la terapia decongestionante” – ha concluso la d.ssa Ligabue nel suo interessante intervento congressuale.

 

Luci  e ombre dei trattamenti

Anche le Mind-body techniques, cioè le terapie corpo-mente come ad esempio lo yoga, rappresentano un modello di presa in carico globale del paziente. Sono numerosi gli studi che hanno dimostrato la loro efficacia nel tenere sotto controllo gli effetti collaterali delle terapie oncologiche. L’autocura rappresenta, infatti, la nuova frontiera dei programmi di terapia oncologica. Tuttavia, nonostante i trattamenti di autocura abbiano evidenziato un significativo miglioramento della qualità di vita dei pazienti e contemporaneamente buoni risultati in termini di efficacia e contenimento della spesa sanitaria, gli stessi si scontrano con un’elevata discontinuità e un alto tasso di abbandono del trattamento. Proprio per contrastare questi fenomeni negativi appare importante avere un maggiore coinvolgimento di tutti gli operatori sanitari, promuovendo un loro efficace lavoro di èquipe. Inoltre, come ha ricordato nel suo intervento la stessa d.ssa Ligabue, “anche gli interventi telefonici hanno dimostrato effetti positivi nella riduzione di ansia e stress nei pazienti oncologici.  Ne consegue dunque che le tecnologie digitali e la telemedicina possono rappresentare, anche per il futuro, un ausilio importante per il paziente oncologico nell’aiutarlo a non sentirsi abbandonato a sé stesso ma, anzi, ancora più coinvolto in un progetto comune di guarigione e autocura.”

 

I vantaggi dell’autocura

L’autocura presenta dei vantaggi sia per i singoli individui che per il sistema sanitario  nazionale.

Dal punto di vista delle singole persone, le pratiche di autocura permettono una maggiore libertà ed autonomia di scelta sull’itinerario terapeutico da seguire e sul tipo di medicina e medicamenti cui affidarsi, che possono variare dai rimedi fatti in casa, alle cure delle medicine olistiche, ai più comuni analgesici e antinfiammatori in vendita in farmacia e parafarmacia.

I vantaggi per il sistema sanitario, invece, si riscontrano soprattutto nei termini di una progressiva agevolazione dei processi terapeutici (dalla diagnosi, alla ricerca del medicamento adeguato, alle attività di cura).

Se ogni persona divenisse capace di gestire autonomamente problemi di salute lievi, il sistema sanitario – e di conseguenza i suoi utenti – ne potrebbe trarre enormi benefici: si ridurrebbero le file e i tempi di attesa, i medici riceverebbero meno pazienti e potrebbero così fornire un servizio più attento e approfondito a quelli più fragili.

 

I rischi dell’autocura

La maggior autonomia che si sta acquisendo nel campo della salute, però, presenta dei rischi che non si devono sottovalutare. Uno di questi è l’aumento della medicalizzazione  di malesseri che fino a qualche decennio fa erano curati con il riposo e che ora invece sono trattati con l’assunzione di farmaci sintomatici ad effetto rapido.

Attraverso il diffondersi dell’automedicazione, i farmaci stanno progressivamente uscendo dall’ambito clinico-medico per entrare a far parte della quotidianità, alla stregua di altri preparati di uso comune come i prodotti alimentari.

Questo aspetto dell’autocura, che potremmo definire “consumismo farmacologico”, invece di generare individui autonomi e consapevoli delle molteplicità di opzioni di cura esistenti nel campo delle medicine, rischia quindi di provocare una sorta di dipendenza da farmaci e rifiuto del malessere come esperienza naturale del corpo umano.

 

Fonti:

https://www.gruppotecnichenuove.it/rivista/medicina-integrata/

https://www.cure-naturali.it/articoli/salute/benessere/autocura-rischi-e-vantaggi.html

Exercise interventions on health-related quality of life for people with cancer during active treatment – PubMed (nih.gov)   https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/23164265/

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