In prima linea

È possibile diventare madri, dopo un tumore al seno, senza compromettere l’efficacia delle cure.

Circa il 20% delle pazienti con tumore al seno ricevono la diagnosi nel pieno degli anni riproduttivi e, per molte di loro, la fertilità e la gravidanza sono, giustamente, preoccupazioni prioritarie da valutare con discernimento.

 

I risultati dello studio POSITIVE, pubblicati sul prestigioso New England Journal of Medicine, a cui ha contribuito in modo prioritario l’Istituto Europeo di Oncologia di Milano, dimostrano che non c’è aumento di rischio di recidiva per le giovani donne con cancro al seno, le quali hanno interrotto il trattamento ormonale endocrino per rimanere incinte.

I dati hanno evidenziato che queste neomamme mostrano tassi di recidiva del tutto sovrapponibili a quelli delle donne che non hanno interrotto il trattamento antitumorale. E la stragrande maggioranza di esse ha, inoltre, concepito e partorito bambini perfettamente sani.

 

Il ruolo della componente ormonale

La maggior parte delle giovani donne con carcinoma mammario in fase iniziale, ha una patologia sensibile agli ormoni, la cosiddetta neoplasia positiva al recettore degli estrogeni (ER+), il che significa che le cellule tumorali sono alimentate dai propri ormoni fisiologici. Queste donne ricevono quindi un trattamento endocrino per bloccare la produzione naturale di ormoni al fine di ridurre il rischio di recidiva.

La terapia endocrina può essere prescritta per un periodo che va dai 5 ai10 anni, ed ha un forte impatto sulla possibilità di rimanere incinta. Infatti, pur non essendo tossica sulle ovaie, è incompatibile con la gravidanza la quale necessariamente, fino a pochi anni fa, doveva essere rimandata al termine delle cure, con una minor probabilità di successo riproduttivo legata all’età che, giocoforza, risulta più avanzata.

Lo studio POSITIVE, coordinato dall’International Breast Cancer Study Group (IBCSG) e dall’Alliance for Clinical Trials in Oncology in North America, in collaborazione con il Breast International Group (BIG) europeo, è stato progettato nel 2014 per aiutare queste giovani donne a realizzare il loro desiderio di maternità, senza compromettere però l’efficacia delle necessarie cure antitumorali.

La collaborazione internazionale è fondamentale per rispondere ad alcune domande importanti per le donne con pregresso tumore mammario – dichiara il dr. Marco Colleoni, direttore della Senologia Medica IEO e Co-responsabile del Comitato Scientifico internazionale IBCSG –. Questo studio ha richiesto una collaborazione globale che ha coinvolto il nostro gruppo di clinici e ricercatori milanesi  insieme al Gruppo Alliance statunitense e al Breast International Group europeo.

Cercare di rimanere incinta era considerato, da molti oncologi, un evento proibito per chi aveva ricevuto una diagnosi di carcinoma mammario. Dai primi dati sappiamo ora, all’opposto, che è possibile per le donne interrompere la terapia ormonale precauzionale per soddisfare il proprio desiderio di gravidanza senza aumentare il rischio di una recidiva nel breve termine. I risultati della ricerca sono di grande aiuto per le donne che desiderano coinvolgersi in questo percorso clinico e in questa sfida, tutta umana, per la genitorialità”.

 

Lo studio clinico dello IEO

Dal dicembre 2014 al dicembre 2019, ben 518 donne, di età pari o inferiore ai 42 anni che desideravano una gravidanza, hanno accettato di sospendere la terapia ormonale per circa due anni al fine di provare a rimanere incinta.

Prima di interrompere il trattamento, le donne avevano completato tra i 18 e i 30 mesi di cicli di terapia endocrina adiuvante, la quale veniva ripresa dopo la gravidanza o, comunque, entro 24 mesi dalla sua sospensione.

Lo studio ha arruolato pazienti da 116 ospedali in 20 Paesi dei 4 continenti e lo IEO, con le sue 48 pazienti, è stato il Centro ospedaliero con il maggior numero di donne coinvolte.

I ricercatori hanno scoperto che la percentuale di donne dello studio POSITIVE il cui cancro al seno è ricomparso (8,9%) era paragonabile a quella riscontrata in altri studi simili per caratteristiche delle pazienti (9,2%).

Inoltre, con un totale di 365 bambini nati nello studio, i tassi di concepimento e parto erano simili o addirittura leggermente superiori a quelli della popolazione generale.

 

Il secondo studio della Società Americana di Oncologia Clinica (ASCO)

Un protocollo europeo, presentato al Congresso della Società americana di oncologia clinica (Asco), ha dimostrato che la gravidanza, avvenuta dopo la diagnosi di patologia, non aumenta il rischio di recidive.

Lo studio ha riguardato 1200 donne e rassicura, dunque, le numerose pazienti che vorrebbero progettare una maternità.

Il tumore al seno rappresenta, tra le donne, in Italia, il 30% delle neoplasie, con una prevalenza del 41% tra le giovani che ancora non hanno avuto figli. Queste donne, una volta guarite, però, cominciano a pensare alla maternità e lo fanno in almeno il 50% dei casi, anche se solo il 10% ci prova effettivamente.

Perché questo? Prima fra tutte c’è la paura che una gravidanza, con le modificazioni ormonali che comporta, possa in qualche modo “risvegliare” la malattia. Per questo motivo la fertilità e il desiderio di gravidanza sono divenuti fattori criticamente importanti nell’analisi dei rischi/benefici di una terapia oncologica.

Con questo nuovo studio, i ricercatori hanno evidenziato, invece,  come le donne rimaste incinte, dopo un’iniziale diagnosi di tumore al seno incluse quelle con tumori Er+ sensibili agli estrogeni, non presentavano un maggior rischio di recidive.

Un passo avanti importante, se si considera, rilevano gli autori, che sebbene metà delle giovani donne con una diagnosi di questo tipo si dichiari propensa ad avere figli, meno del 10% resta incinta.

Infatti, le donne che hanno superato il tumore al seno sono proprio quelle che avranno figli con minore probabilità, anche perché donne e medici hanno per lungo tempo creduto che la gravidanza potesse essere collegata alla comparsa di recidive, in particolare per le donne con tumore al seno ER +. Infatti, poiché quest’ultimo tipo di cancro è “alimentato” dall’estrogeno, il timore è che i livelli di tale ormone, durante la gestazione, possano favorire la crescita di cellule tumorali rimaste occulte.

Un’altra preoccupazione riguarda il fatto di dover interrompere, dopo l’intervento chirurgico, le terapie adiuvanti prima di tentare di rimanere incinte. Proprio queste terapie, infatti, raccomandate per almeno 5 o, in alcuni casi, 10 anni, aiutano a prevenire la recidiva tumorale.

I nostri risultati – afferma il primo autore dr. Matteo Lambertini, membro della Società europea di oncologia (Esmo) e primario all’Istituto Bordet di Bruxelles – confermano che la gravidanza dopo un cancro al seno non dovrebbe essere scoraggiata neanche per le donne con cancro Er +. Ovviamente, però, va considerata la storia personale di ogni singola paziente nel decidere quanto tempo aspettare prima di provare ad avere figli“.

Del campione di 1200 donne considerato, ben 333 pazienti sono rimaste incinte. Ebbene, dopo un follow-up di 10 anni dalla diagnosi di cancro, non è stata rilevata alcuna differenza in termini di sopravvivenza libera da malattia tra le donne rimaste incinte e quelle che non lo erano.

Ma c’è di più: le pazienti con cancro al seno di tipo Er –, meno diffuso, rimaste incinte, avevano il 42% in meno di rischio di morire. Può dunque darsi, affermano gli esperti, che la gravidanza possa avere un effetto protettivo su questa tipologia di pazienti, ma ulteriori studi sono necessari per confermare quest’ultimo dato.

Per molte giovani donne che vogliono farsi una famiglia – conclude la d.ssa Erica Mayer, esperta Asco – questa è, dunque, una notizia che rassicura e conforta“.

 

Il terzo studio al San Martino di Genova

Si può diventare mamme dopo un cancro al seno, senza maggiori rischi di ricadute né pericoli per il neonato. Lo dice uno studio coordinato dal San Martino di Genova e supportato da Fondazione Airc.

Lo studio internazionale è stato presentato nel corso del Congresso mondiale sul carcinoma mammario, tenutosi in Texas e pubblicato sulla rivista scientifica “Jama”, ed è importante perché fino ad ora molti oncologi suggerivano di non avere gravidanze alle donne operate con mutazioni del gene Brca, il cosiddetto “gene Jolie”.

Questi dati dimostrano che, dopo un trattamento appropriato e un periodo di osservazione sufficiente, la gravidanza non dovrebbe essere più sconsigliata a donne giovani con un tumore al seno e mutazione Brca, perché tale gravidanza è possibile e sicura” ha spiegato il dr. Matteo Lambertini, professore associato presso l’Università di Genova e oncologo medico all’Ospedale Policlinico San Martino, coordinatore dello studio insieme alla d.ssa Eva Blondeaux, oncologo medico presso l’Unità di Epidemiologia clinica dello stesso ospedale ligure.

Le italiane con “mutazione Jolie”, quella per cui l’attrice americana nel 2013 si è sottoposta a mastectomia preventiva, sono il 12% delle oltre 11mila donne in età fertile che ogni anno si ammalano di tumore al seno nel nostro Paese.

Allo studio hanno partecipato 78 centri fra i più importanti al mondo. Sono stati raccolti i dati di 4.732 donne che hanno ricevuto, nella fascia di età 20-40 anni, una diagnosi di carcinoma mammario con mutazione Brca.

I geni Brca normalmente controllano la proliferazione cellulare e la riparazione di tratti cromosomici danneggiati, funzioni che vengono perdute in caso di mutazione cromosomica. Ecco perché le persone che ereditano questa mutazione hanno un’elevata probabilità di ammalarsi di cancro, in particolare al seno e all’ovaio.

La ricerca ha dimostrato che, dopo il completamento delle cure ed entro dieci anni dalla diagnosi di tumore, oltre una donna su cinque ha avuto una gravidanza, con un tempo medio dalla diagnosi al concepimento di tre anni e mezzo.

Delle 659 donne che l’hanno portata a termine, pari al 79,7% del totale, il 91% ha sostenuto un parto a termine e il 10% ha avuto un parto gemellare. Rispetto alla popolazione generale, tra le pazienti che hanno avuto una gravidanza al termine delle cure oncologiche, non si sono osservati tassi più elevati di complicazioni o di rischio di malformazioni fetali, né differenze significative nella recidiva.

Poter coltivare la speranza di costruirsi una famiglia dopo aver superato la malattia oncologica, è di grande aiuto per le pazienti – ha sottolineato il dr. Lambertini – perché consente loro di accettare meglio la malattia e le relative terapie: la consapevolezza di un domani positivo, ha un ruolo significativo nel processo di guarigione”.

Si tratta di risultati rilevanti se si considera che il numero di giovani donne colpite da tumore della mammella prima di aver avuto un figlio è in aumento, a causa anche della tendenza a ricercare la prima gravidanza in età sempre più avanzata.

“Questo lavoro è un punto di partenza per studiare l’impatto dei nuovi trattamenti oncologici sulla fertilità e sulla possibilità di avere una gravidanza senza rischi ha concluso, in modo ottimistico, il prof. Lambertini.

 

Articoli su genitorialità e malattia tumorale:

https://www.oncolife.it/lavori-scientifici/microchimerismo-il-primo-abbraccio-tra-madre-e-figlio/

https://www.oncolife.it/in-prima-linea/come-posso-rassicurare-mio-figlio-e-fargli-capire-che-andra-tutto-bene/

https://www.oncolife.it/in-prima-linea/limportanza-della-medicina-famiglia-per-i-malati-di-cancro/

 

Fonti:

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/38810178/ (articolo IEO)

https://www.ieo.it/it/SCIENCE-IN-SOCIETY/Press-room/Comunicati-stampa/Positive/

https://www.insalutenews.it/in-salute/donne-con-cancro-al-seno-possono-realizzare-il-desiderio-di-maternita-senza-compromettere-lefficacia-delle-cure/

https://www.aogoi.it/notiziario/cancro-donne-gravidanza/

https://fondazioneonda.it/it/maternita-possibile-per-le-donne-con-tumore-al-seno/

https://www.avvenire.it/vita/pagine/maternit-possibile-dopo-una-diagnosi-di-cancro-al-sen-95704968ee304168a41885955065cddd

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